Caporalato, all'Unisannio la lezione di Yvan Sagnet

All’Università del Sannio il 15 gennaio 2018 si è discusso di “Filiere etiche e immigrazione: modelli di welfare e di inclusione sociale”. È intervenuto per l’occasione Yvan Sagnet, fondatore della rete internazionale anticaporalato No Cap, personaggio di grande rilievo culturale e sociale, ispiratore della legge contro il caporalato nelle filiere agroalimentari. Una vera e propria lezione e un incoraggiamento per gli studenti del corso di economia agroalimentare coinvolti nell’Afelab (Agrifood economics laboratory), ideato dal professore Giuseppe Marotta, per un confronto con imprenditori, policy maker e studiosi, su temi di frontiera dell'agroalimentare.

Yvan Sagnet è il ragazzo africano che si è ribellato ai caporali. Arriva in Italia per studiare nel 2007. Sin da piccolo ha sempre sognato il nostro paese per il calcio, la moda, il clima e l’accoglienza della gente. Aveva cinque anni quando i suoi eroi della nazionale del Camerun giocavano i mondiali del ’90, e proprio in quel periodo Yvan conosce l’Italia. Studia l’italiano, gli usi, i costumi e le nostre tradizioni, si appassiona alla storia, alla politica e la società, finché realizza il suo sogno arrivando in Italia e vincendo una borsa di studio al Politecnico di Torino, la città della sua Juventus, squadra che tifava sin da bambino. Terminata la borsa di studio cerca lavoro per continuare a pagarsi gli studi, così nell’estate del 2011 parte per la Puglia ed arriva a Nardò nella masseria Boncuri dove incontrerà altri braccianti per la raccolta del pomodoro. Yvan scopre così il mondo del caporalato, quello che per pagare pochi spiccioli costringe il bracciante a lavorare sedici ore sotto il sole e a vivere in condizioni disumane. Sfruttamento e diritti calpestati che inducono Yvan e altri braccianti ad organizzare il primo grande sciopero che mette in ginocchio parte della filiera agroalimentare, fondamentale per l’economia regionale. Da quel giorno la vita di Yvan non sarà più la stessa: denuncia i caporali, partono le indagini e si avvia il processo penale SABR (abbreviazione del nome di uno dei principali imputati, il tunisino Saber Ben Mahmoud Jelassi, detto “Giuseppe il tunisino” o “Capo dei capi”) dove lui stesso è testimone chiave e parte civile. Inoltre la rivolta di Nardò avvia l’iter legislativo che produce la prima legge sul caporalato (Legge n. 148/2011) ed oggi il nuovo disegno di legge approvato questa estate al Senato (Ddl 2217) , che prova a migliorare la precedente legge. Il processo SABR si conclude con undici persone condannate con una sentenza in primo grado della Corte d’Assise di Lecce, un processo partito dall’inchiesta nata nel 2008 del procuratore aggiunto Elsa Valeria Mignone e dei carabinieri del Ros. La sentenza letta dal presidente Roberto Tanisi, la prima in Italia per “riduzione in schiavitù”, conferisce ad ognuna delle seguenti persone undici anni di reclusione e all’interdizione dai pubblici uffici.

Oggi Sagnet prosegue la sua battaglia per i controlli preventivi nei campi contro la schiavitù e chiede che sui prodotti alimentari compaia la tracciabilità etica.

Insieme a Sagnet si sono confrontati con gli studenti lo stesso direttore del dipartimento DEMM Marotta: “Una nuova visione dell’economia parte dalla società locale e dalle rete territoriali”; il presidente di Slow Food Campania Giuseppe Orefice: “La qualità alimentare nasce anche dalla giustizia e dalla legalità”; e il presidente di Mediterraneo Sociale Scarl Salvatore Esposito: “Le imprese sociali garantiscono inclusione e valorizzano l’agricoltura. Sono esperienze nuove da replicare per proporre un nuovo modello di sviluppo”.

Ha moderato l’incontro il giornalista de Il Mattino Nico De Vincentiis.

Instagram iconTiktok icon