Eravamo Ebrei

L’Università degli Studi del Sannio ha ospitato Alberto Mieli, uno degli ultimi italiani sopravvissuti ai campi di concentramento. L'incontro si è tenuto il 27 marzo 2017, presso la Sala Letture del Dipartimento DEMM. 

Dopo i saluti istituzionali del rettore dell’ateneo sannita Filippo de Rossi e del vice sindaco di Benevento Erminia Mazzoni, sono seguiti gli interventi del pro rettore dell’Università del Sannio Massimo Squillante e del professore Carlo Di Cristo, docente dell’ateneo sannita. Il dialogo con Alberto Mieli è stato condotto dalla giornalista Enza Nunziato.

Il maestro Giovanni Alvino ha eseguito al piano Frèdèric Chopin – Ballata n.1 op.23 in sol minore.

L’evento, organizzato nell’ambito del progetto Unisannio Cultura, è stato realizzato con il supporto del maestro Pietro Loconte, direttore artistico dell’Associazione Culturale Musicale Nuova Diapason e di Maria Incoronata Fredella, presidente dell’Associazione Culturale Log01.

Alberto Mieli è uno degli ultimi deportati romani nei campi di sterminio nazisti ancora in vita. Con il trascorrere del tempo è  riuscito a superare il rifiuto di parlare degli orrori vissuti in  giovinezza e ha aperto l'archivio di quei ricordi indelebili in  "Eravamo ebrei" Questa era la nostra unica colpa (Marsilio editore,  pagine 120). Bisnonno novantenne che ama la sua famiglia e ne è riamato, dopo settant'anni racconta per la prima volta alla nipote Ester quell'esperienza infernale, a mo' di medicina per la sua anima e  come testimonianza per le nuove generazioni. Sul suo braccio è  marchiato per sempre il numero 180060.
Seguendo la memoria di Mieli riviviamo dapprima la Roma nazifascista e le leggi razziali: suo padre licenziato, lui piccolo scolaro ancora  ingenuo allontanato da scuola che si sorprende delle lacrime del  preside nel dargli la comunicazione...
"Avevo tredici anni e a quell'età, quando ti dicono che non puoi più  andare a scuola, sei addirittura felice.
Non capisci bene che cosa possa significare. Non ti fai domande. Io rimasi in silenzio ad ascoltare. Ma lui aveva ben chiara la partita,  conosceva la gravità della cosa. E i suoi occhi parlavano da soli, non li ho mai dimenticati". 
Quando arrivò quel tragico 16 ottobre 1943 che diventò storia e le SS  entrarono nel Ghetto di Roma mostrando tutta loro crudeltà, Alberto  aveva 16 anni.
"Di quel 16 ottobre non potrò mai dimenticare la rabbia delle SS  mentre caricavano gli ebrei sui camion. Sento ancora nelle orecchie le urla stridule di donne che venivano brutalmente strappate ai loro figli. Rivedo le lacrime composte di chi aveva paura".

"A piedi, dopo un'ora di camminata, arrivammo al campo secondario di  Birkenau. La prima cosa che ci colpì fu il puzzo acre che bruciava le  narici e faceva lacrimare gli occhi tanto era pungente. Un odore forte  e indimenticabile tanto che ingenuamente, in prima battuta, pensammo  che il lavoro che ci spettava fosse in un'industria...
Troppo ingenui o forse troppo increduli davanti a una verità così atroce. Come si poteva pensare che esistessero dei forni dove erano  bruciati i cadaveri di uomini come noi?".
Alberto Mieli parla del lavoro giornaliero e stremante, delle salme ammassate le une sulle altre, della stanchezza e della fame continua e cieca che pativa, fame che ha portato alla pazzia e poi alla morte migliaia di deportati.
Alberto Mieli ridà luce anche a piccole storie, volti incrociati, compagni di umiliazioni, con accuratezza e cuore caldo.

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